La legge rinvia all’autonomia collettiva l’individuazione del tetto massimo di contratti part time, contratto su cui è possibile vedere questa guida su Guidelavoro.net, che possono essere stipulati dalle aziende del settore di riferimento (D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 1, co. 3. Dalla lettera della disposizione si evince, infatti, che la legge non prevede un limite percentuale di ricorso al part time rispetto ai rapporti di lavoro a tempo pieno, salvo diversa previsione a livello contrattuale collettivo.

Limiti contrattuali e violazione delle percentuali di ricorso al part time nel settore edile.
Il mancato rispetto dei limiti quantitativi di utilizzo del part time stabiliti dai contratti collettivi può costituire causa ostativa al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva, per inosservanza “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 1, co.1175, L. 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per l’anno 2007; D.M. 24 ottobre 2007).

Con riferimento al settore edile, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con risposta all’Interpello 3 marzo 2011, n. 8, presentato dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), ha ribadito che l’azienda, in caso di superamento dei limiti numerici contrattualmente previsti per il ricorso al part time, è da considerare “irregolare” e non può, pertanto, ottenere il rilascio del DURC

In effetti, il c.c.n.l. edilizia industria 18 giugno 2008, rinnovato il 19 aprile 2010, disciplinando l’istituto del lavoro a tempo parziale, dispone che “fermo restando quanto previsto dalla legge, nelle more dell’adozione dei criteri di congruità da parte delle Casse Edili le parti stabiliscono che un’impresa edile non può assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato” e che “resta ferma la possibilità di impiegare almeno un operaio a tempo parziale, laddove non ecceda il 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell’impresa” (art. 78).

Coerentemente, il Ministero ha affermato che una volta raggiunta l’indicata percentuale del 3% del totale dei lavoratori a tempo indeterminato nell’impresa, o superato il limite pari al 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell’impresa, ogni ulteriore contratto a tempo parziale stipulato deve considerarsi adottato in violazione delle regole contrattuali.


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Le multe sono le sanzioni previste nel caso di violazione del Codice della strada, e come tali in linea di massima sono inappellabili.

Tuttavia, nel caso siate convinti di aver ricevuto una contravvenzione ingiusta, o che questa presenti errori formali, potete tentare di far valere le vostre ragioni appellandovi con un ricorso presso il Prefetto o il Giudice di Pace (o entrambi).

In entrambi i casi non è necessaria l’assistenza di un avvocato.

Ricorso presso il Prefetto.
Se nella contestazione ricevuta ravvisate un vizio formale (es. il verbale di accertamento presenta un errore relativo ai dati anagrafici dell’intestatario o del veicolo, oppure è stato notificato oltre i 90 giorni previsti dalla legge), è meglio rivolgersi al Prefetto.

Il ricorso al Prefetto, deve essere effettuato entro 60 giorni dall’avvenuta notifica presso il comando di polizia municipale oppure direttamente alla Prefettura del capoluogo di provincia dove è avvenuta l’infrazione (v. modulo di ricorso).

La domanda va presentata in carta semplice (senza oneri, a mano o mezzo raccomandata a/r), allegando copia del verbale di accertamento e tutta la documentazione necessaria per sostenere le proprie ragioni (fotografie, atto di vendita del veicolo non più di vostra proprietà, scontrini autostradali o di parcheggio che dimostrano la vostra presenza in luogo diverso rispetto a quello dichiarato sul verbale di notifica, etc…).

E’ anche possibile richiedere esplicitamente di essere ascoltati, al momento della valutazione, al fine di esporre le proprie ragioni.

E’ importante sapere che la semplice presentazione del ricorso non sospende il pagamento della contravvenzione: è quindi necessario richiedere in modo specifico la sospensione del provvedimento fino all’esito del ricorso.
Il Prefetto si limita a valutare il ricorso dal punto di vista della validità formale: se viene riconosciuta la presenza di un errore nella redazione del verbale, il ricorso viene accolto, invalidando pertanto la contravvenzione.

Se il ricorso viene respinto, il Prefetto entro 120 giorni emette un’ordinanza di pagamento (che deve essere notificata entro 150 giorni, pena la sua invalidità), che è almeno il doppio della multa contestata. Contro tale ordinanza è possibile presentare (entro 30 giorni dalla notifica) ulteriore ricorso presso il giudice di pace.

Il ricorso è da ritenersi accolto se non è stata adottata nessuna ordinanza entro 210 giorni (se presentato al prefetto) o 180 giorni (se presentato presso la polizia municipale).

Ricorso presso il Giudice di Pace.
Parlando di costi, appellarsi al Giudice di Pace costa 37 euro (tale onere è stato introdotto a partire dal 1 gennaio 2010 al fine di disincentivare i ricorsi, dal momento che questa era la via più perseguita, anche per multe di lieve entità). Oltre a questo costo, si deve tener conto anche della perdita di tempo e delle eventuali spese di viaggio (se l’ufficio presso cui si è fatto ricorso è in altra città), dato che è necessario essere presenti all’udienza.

A differenza del Prefetto, il Giudice di Pace può ridurre l’importo della multa, ed eseguire una valutazione del merito della contravvenzione, e non solo il vizio formale.

Il ricorso deve essere effettuato presso l’ufficio del Giudice di Pace competente territorialmente, in relazione al luogo in cui è stata commessa la violazione contestata. La domanda va presentata entro 60 giorni dalla notifica del verbale, a mano o per posta, allegando copia del verbale e tutta la documentazione ritenuta utile.

Se il Giudice di Pace rigetta il ricorso, la sentenza è ulteriormente appellabile in tribunale, ma a questo punto sarà indispensabile rivolgersi ad un avvocato.


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L’acquisto di una casa è certamente una delle decisioni più importanti che si possono prendere nel corso della vita, ma lo è ancora di più se per farlo è necessario chiedere un Mutuo per acquisto casa.

Chiedere un mutuo ipotecario significa contrarre un impegno economico che condizionerà i prossimi 15-20-30 anni, ed in quanto tale andrebbe affrontato in modo informato e consapevole al fine di poter scegliere il mutuo migliore.

Il mutuo ipotecario oggi è uno strumento che può contribuire al miglioramento della qualità di vita, ma deve essere proporzionato ad un importo (rata) sostenibile, rispetto alle effettive entrate familiari, in modo continuativo nel tempo.

Al giorno d’oggi è in costante aumento il ricorso a strumenti di credito o prestiti, non solo per l’acquisto di immobili, ma anche auto, elettrodomestici, mobili, e perfino beni o servizi voluttuari.

Il rischio di questa familiarità con l’indebitamento, sta nel sottovalutare le conseguenze di una scelta affrettata.

Oltre a preoccuparsi di raccogliere proposte dalle varie banche e confrontare le diverse proposte di mutuo, è quindi necessario essere pienamente consapevoli che l’accumularsi di rateazioni non adeguatamente ponderate può causare difficoltà o, in alcuni casi, veri e propri dissesti finanziari (non ultimo la perdita dell’immobile).

Negli ultimi anni è certamente migliorata l’informazione disponibile, tuttavia nulla può sostituire il buon senso e la prudenza: a volte è più saggio rinunciare, limitare o rinviare l’ acquisto.


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La cessione del quinto è una particolare tipologia di prestito personale, la cui restituzione avviene con la cessione di una parte dello stipendio o salario, fino al quinto del suo ammontare, valutato al netto delle ritenute.

Il richiedente è libero di utilizzare la somma erogata come meglio crede, in quanto non è finalizzata all’acquisto di un bene o servizio particolare.

Generalmente la durata di questa forma di prestito varia da un minimo di 24 mesi ad un massimo di 120 mesi, e viene rimborsato attraverso una detrazione dalla busta paga o pensione.

Mediante la cessione del quinto sarà il datore di lavoro stesso o l’ente previdenziale di riferimento ad assumersi la responsabilità del rimborso del prestito. Il che potrebbe far insorgere il timore che datore di lavoro e ente pensionistico non vogliano accettare la richiesta di finanziamento, ma non è così, in quanto sono obbligati ad accettarla.

Per richiedere un prestito tramite cessione del quinto non si necessita di particolari garanzie, in quanto l’unica garanzia è il TFR per i dipendenti e la pensione per coloro che la percepiscono. Il Legislatore ha tuttavia previsto l’obbligatorietà della copertura assicurativa a tutela dell’intermediario finanziario nei casi di morte e di perdita del lavoro.

La cessione del quinto è un finanziamento che può essere richiesto anche da chi è iscritto nel registro dei cattivi pagatori : per i cattivi pagatori è, infatti, impossibile accedere alle normali forme credito al consumo.In questo caso la somma erogata potrà essere utilizzata o come liquidità immediata, da utilizzare come meglio si crede o in caso di bisogno, o per andare a consolidare debiti pregressi e insoluti.

Come per ogni forma di prestito, anche per la cessione del quinto è sempre possibile estinguerlo anticipatamente in parte o del tutto, secondo quanto prestabilito dalla Legge. In questo caso il soggetto dovrà versare all’istituto di credito il capitale residuo nonché gli interessi maturati fino a quel momento, maggiorati dell’1% del capitale rimanente a titolo di compenso d’uscita.


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In modo classico si definisce cassettista colui che acquista una certa quantità di uno o più titoli, li paga, li ritira e li pone nel cassetto, e attende che i frutti attesi si maturino e possano così remunerare il capitale investito. Il cassettista compra azioni di aziende solide, con ottimi fondamentali, che distribuiscono buoni dividendi. I frutti, o meglio, gli utili o più in generale il profitto, sono di due categorie:
il dividendo, rappresentato dagli utili che l’azienda realizza e che, in tutto o in parte, distribuisce ai propri soci azionisti;
il capital gain (guadagno di capitale), rappresentato dalla differenza tra il prezzo di acquisto del titolo e quello indicato sul mercato dopo un certo periodo di tempo. Infatti un’azienda, se sana e ben amministrata, oltre che conseguire utili, deve anche crescere di valore.

Questa crescita di valore per il cassettista si traduce appunto in capital gain.
L’utile complessivo per il cassettista è dato quindi dal dividendo e dal capital gain. Da precisare però che, nella pratica corrente, l’obiettivo primario per l’investitore è dato dal capital gain, dato che il dividendo non sempre viene distribuito agli azionisti.

Quindi il cassettista acquista azioni e le detiene per un periodo di tempo lungo o lunghissimo. Ma detenere azioni, restando indifferenti alle oscillazioni del loro prezzo, presenta obiettivamente dei rischi, per i seguenti motivi:
– molto spesso, dopo alcuni anni, tendenzialmente l’azione acquistata rappresenta un’azienda diversa da quella iniziale. E’ un fatto naturale che le aziende debbano adeguarsi ad un mercato in continua evoluzione, seguire le mode, il progresso tecnologico, cambiare i beni e i servizi prodotti se questi diventano obsoleti o non incontrare più il favore del pubblico, ecc.;
– si può essere costretti a liquidare la propria posizione in caso di necessità personali o per un motivo di delisting (uscita di un’azienda dal listino di borsa), ed il risultato della vendita potrebbe essere negativo;
– si può perdere tutto il capitale in caso di fallimento dell’azienda. E’ ovvio che più si allunga il periodo di investimento, maggiori sono le probabilità che un’azienda possa fallire.

Il concetto di cassettista è definito, ma nella realtà quotidiana il successo o l’insuccesso dell’investimento dipendono da molti fattori, tra cui la scelta dei titoli e il momento dell’acquisto (stock piking e timing). Acquistare le azioni giuste nel momento giusto, in modo da diminuire il rischio. E non sempre il cassettista, che di solito è un piccolo risparmiatore, è capace di individuare questi fattori, in quanto non conosce le regole, complesse e a volte non scritte, che governano l’investimento azionario.


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