L’amministratore di condominio può assumere sia la veste di esercente arte o professione sia la veste di società di persone, Snc o Sas, o di società di capitali. Dalla forma giuridica scelta dipende l’applicazione di un diverso regime di tassazione.
Se l’amministratore di condominio opera in forma individuale, diviene soggetto passivo d’imposta sia ai fini Irpef che ai fini Iva. Ai fini Irpef, il reddito dell’amministratore è soggetto alla tassazione mediante l’applicazione delle aliquote stabilite dall’art. 11 del Testo Unico delle imposte sui redditi, Dpr 917/1986, rubricato Determinazione dell’imposta. Nello specifico, la norma prevede i seguenti scaglioni di reddito e aliquote
fino a 15.000 euro, 23%;
oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27%;
oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38%;
oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41%;
oltre 75.000 euro, 43%.
Nell’erogare il compenso, il condominio deve effettuare una ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 20%. Tale ritenuta va recuperata dall’amministratore in sede di dichiarazione dei redditi, ossia in sede di conguaglio. Così l’amministratore di condominio avrà diritto a portare in deduzione eventuali oneri sostenuti e detrarre eventuali spese sostenute.
L’amministratore è tenuto ancora a corrispondere l’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), nella misura del 3,9%, se vi è autonoma organizzazione.
Per quel che riguarda i contributi previdenziali l’amministratore di condominio, che assume la veste di esercente arte o professione, non potendo far riferimento ad alcuna cassa previdenziale privata, deve iscriversi alla Gestione separata Inps.
Come detto in apertura, l’amministratore di condominio può svolgere la propria attività anche in forma collettiva, ossia sia sotto forma di società di persone o sotto forma di società di capitali. Nel caso di società in nome collettivo o in accomandita semplice, è il singolo socio ad essere soggetto passivo d’imposta. In tale fattispecie è in vigore, infatti, il regime “per trasparenza”, secondo il quale la tassazione Irpef pesa in capo al socio e non alla società. Ragion per cui è il singolo socio a dover pagare l’imposta sulla quota parte del reddito a lui attribuibile. La società, al contrario, non è tenuta ad alcun pagamento.
In caso di esercizio dell’attività di amministratore in forma collettiva, non è dovuta alcuna ritenuta d’acconto.
L’imposta regionale sulle attività produttive, invece, è sempre dovuta dalla società nella misura del 3,9%.
Per quanto riguarda il lato previdenziale, trattandosi di attività che può essere assimilata a quella commerciale e di servizi, i soci della società di persone – a esclusione del socio accomandante, nell’ambito delle società in accomandita semplice, che non è tenuto ad iscriversi all’Inps – sono tenuti a iscriversi alla Gestione Inps commercianti che prevede il pagamento di contributi previdenziali fissi e, qualora il reddito superi la soglia minima fissata dall’Inps stesso, un’altra parte di contributi nella percentuale del 23,55%.
Nel caso in cui l’amministratore di condominio sia una società di capitali, quest’ultima è soggetta all’imposta sul reddito delle società (Ires) e all’Irap. L’imposta, in questo caso, è dovuta dal soggetto collettivo. In caso di distribuzione dell’utile ai soci persone fisiche, al netto dell’imposta, questi ultimi devono versare l’Irpef; nel caso di socio qualificato, ossia con partecipazione superiore al 20%, l’imposta è commisurata al 49,72% dell’utile stesso, mentre nel caso di partecipazione non qualificata è dovuta l’imposta sostitutiva del 26% sull’intero dividendo.
Con riferimento agli aspetti previdenziali, i soci delle Srl devono versare il contributo Inps, come avviene per i soci delle società di persone, qualora l’attività svolta dalla società di capitali rappresenti quella principale per il socio stesso. Le modalità di versamento sono uguali a quelle previste per le società di persone.
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La nuova banconota da 5 euro è stata immessa sul mercato lo scorso 2 maggio 2013 per sostituirne quella precedente poiché facilmente falsificabile dagli esperti del settore. Non tutti però hanno un rilevatore di banconote false. In virtù di questo problema ancora da risolvere, quindi, sarà opportuno affidarsi al riconoscimento manuale per non essere truffati anche se, assicurano gli esperti, questa banconota è difficilmente falsificabile ma, fidarsi è bene e non fidarsi è ancora meglio, quindi è sempre opportuno controllare ed essere vigili. Inoltre, nei prossimi anni, sempre per motivi di sicurezza, saranno sostituite gradualmente onde evitare truffe.
La nuova banconota si presenta in maniera molto generica facendo riferimento alla stessa linea di quella precedente, i colori ed i temi scelti sono grosso modo gli stessi ma la novità consta nell’inserimento di nuovi tratti difficilmente riproducibili col fai da te al di fuori della produzione della zecca della Banca d’Italia. I vecchi tagli resteranno in commercio e saranno validi ancora anche se sono già stati iniziati ad essere ritirati finché non saranno dichiarati fuori commercio ufficialmente.
Il primo elemento che la contraddistingue è la cifra numero cinque 5 scritta in verde smeraldo con un inchiostro speciale che cambia colore, trasformandosi in blu con un effetto verticale in base alla luce. Anche la filigrana utilizzata è interamente modificata così da renderla già riconoscibile immediatamente al tatto poiché risulta molto più pesante.
Nuove misure di sicurezza sono rappresentate anche dall’introduzione di trattini in rilievo posti lateralmente su entrambi i margini, sia quello destro che quello sinistro, che rendono il riconoscimento dell’autenticità palese, sensibilissimo al tatto anche, ad esempio, per gli anziani o per chi presenti problemi di vista. 4Anche l’ologramma laterale ha subito delle modifiche, riportando sia il valore della banconota stessa, sia il ritratto di Europa, la figura della mitologia greca da cui la nuova serie prende il nome, che viene riprodotta anche nella filigrana stessa. Quindi, molto più visibili se controluce, per essere certi dovranno apparire questi due elementi sul pezzo da 5 euro.
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Rumori in condominio, è indispensabile la prova concreta del danno provocato dalle immissioni sonore perché possa essere riconosciuto e concesso un risarcimento al presunto danneggiato. Così ha stabilito la Corte di Cassazione (Seconda sezione civile) nella sentenza n. 1363/2017, rigettando la richiesta di risarcimento avanzata dal proprietario di un appartamento che aveva dichiarato di aver subito dei danni a causa di attività rumorose – delle quali chiedeva la cessazione – provenienti da un vicino, senza però fornire una prova concreta e convincente della lesione patita.
In prima istanza, il giudice di pace di Pescara accoglieva la domanda di cessazione e condannato i convenuti al risarcimento dei danni per un valore di mille euro, rilevando che “i testi avevano riferito dell’esistenza di rumori dovuti ai lavori di ristrutturazione nell’appartamento di proprietà dei convenuti”. In merito al danno lamentato, “lo riteneva provato, sul rilievo che in materia di immissioni sonore, di vibrazioni e di scuotimenti atti a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti a uso abitativo, il danno è in re ipsa“, ossia insito nel fatto stesso.
Il Tribunale di Pescara, in qualità di giudice di appello, stravolgeva, invece, suddetta posizione ritenendo che “quantunque dimostrata la sussistenza di un’attività rumorosa, non ne è stata provata l’effettiva intollerabilità”. Ma non solo, giudicava “non del tutto convincenti le prove testimoniali” e, in conclusione, affermava che nel caso in esame “non solo gravità e serietà del danno non trovano riscontro concreto, ma carente la stessa deduzione specifica di una incidenza delle immissioni rumorose sulla vita di relazione dell’attore tale da determinare un danno serio e grave”.
La Corte di Cassazione accoglieva le motivazioni del giudice di merito, giudicandole condivisibili e prive di quei vizi che, dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 Codice Civile, si possono definire come un’anomala motivazione della sentenza impugnata. Pertanto, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al rimborso delle spese processuali.
Sempre in materia di rumori in condominio, la Corte di Cassazione (sentenza 661/2017) pochi giorni ha affrontato il caso di una madre e di un figlio che si lamentavano per i rumori, provenienti anche di notte, “dall’adiacente alloggio adibito ad abitazione della custode”. Nel dettaglio, le lamentele erano legate a immissioni acustiche intollerabili provocate “dall’utilizzo dei servizi igienici e del televisore” e “dalle voci delle persone che si trovavano nella camera da letto”, immissioni riscontrate anche dalla relazione di un consulente tecnico che aveva suggerito al condominio di far insonorizzare l’appartamento della custode. Queste premesse inducevano il Tribunale di Milano a liquidare “equitativamente”, ossia secondo quanto apparso giusto, 10mila euro a favore di ciascuno degli attori, vittime di “un malessere ansioso-depressivo” a causa della pessima qualità di vita all’interno della propria abitazione.
Radicalmente opposto il parere della Corte di Appello, che rigettava la domanda di risarcimento danni ed escludeva ripercussioni serie per madre e figlio, perché i due soggetti “sono individui dalla personalità disturbata, con difficoltà nelle relazioni interpersonali che sono la causa di una reazione abnorme a modeste sollecitazioni disturbanti”, come lo scorrere dell’acqua nei sanitari, la televisione o la presenza di persone nell’appartamento accanto, sufficienti per scartare “il nesso causale tra i rumori e il malessere ansioso-depressivo”.
La Cassazione, con la sentenza 661/2017, ha condiviso la sentenza emessa in appello, cancellando definitivamente l’ipotesi del danno alla salute. Pertanto, ha condannato i ricorrenti alla restituzione della somma ottenuta in primo grado con gli interessi, pari a 28mila euro, oltre a pagare le spese del giudizio, con il doppio contributo unificato.
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A tutti è capitato di non passare un esame così come un colloquio di lavoro, di non ricevere risposta dopo l’invio di un CV, di non essere riconosciuti come ci si aspettava; gli insuccessi a scuola e sul lavoro sono all’ordine del giorno, ed è per questo che bisogna essere pronti a reagire in maniera efficace.
La delusione è il sentimento tipico che si associa ad un insuccesso,e si trasforma facilmente in frustrazione o anche in rabbia, nel caso in cui gli insuccessi siano ripetuti. Sono chiaramente sensazioni negative, per così dire di blocco, che hanno in comune un rimuginare statico; persino la rabbia, apparentemente esplosiva, è un assetto mentale che agita senza dirigere verso la via d’uscita.insuccessi
Si capisce subito che proprio i sentimenti associati all’insuccesso vanno in qualche modo contenuti per poter trovare la spinta necessaria ad insistere, fino ad ottenere quello che volevamo. In caso contrario, se ci bloccassimo e fermassimo la corsa, questo sarebbe un fallimento per definizione: smettendo di provare è certo che non si arriverà all’obiettivo.
Ci troviamo a dovere affrontare un insuccesso ogni volta che riponiamo le nostre aspettative in qualcosa che poi non si verifica; questo può capitare in qualsiasi ambito e in qualsiasi momento della vita, nelle situazioni più disparate. Nonostante ogni caso sia diverso per importanza ed eventuali conseguenze, possiamo tenere a mente dei piccoli accorgimenti per effettuare un cambio di prospettiva; questo consente di reagire in maniera costruttiva di fronte a quello che viene vissuto come un fallimento, ma che ancora non lo è:
1- l’impatto non è discutibile: di fronte all’insuccesso si rimane male. I propri sentimenti vanno sempre rispettati, quindi prendeteli in considerazione e viveteli ma senza crogiolarvi: l’intenzione è di rimettersi in piedi in fretta;
2- come sempre uno sguardo analitico alla situazione, se non risolve, aiuta: prendete le distanze, per quanto possibile, da voi stessi, osservatevi dall’esterno e interrogatevi su quali aspetti non erano proprio vincenti. In questo modo il vostro insuccesso diventerebbe una fonte di informazioni importantissima, utile per correggersi la volta successiva. Visto da questa prospettiva un insuccesso è diventato una risorsa che definisce le basi da cui ripartire. Non male, no?
3- un aiuto esterno potrebbe essere utile: mettere a confronto la propria strategia con quella di un’altra persona permetterebbe di mettere in luce i lati più deboli ma anche quelli più forti di entrambe, permettendo così di fare propri nuovi aspetti positivi che prima mancavano; a questo punto si potrebbe mettere in atto la strategia risultante, di certo molto più efficace;
4- l’ultimo punto è qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti più difficili, e di cui essere anche abbastanza orgogliosi: nessuno è immune agli insuccessi, a meno che non sia privo di obiettivi. A voi piacerebbe?
Soluzioni semplici.
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Quando si ottengono risultati si diventa un faro per chiunque ci segua. Il successo ottenuto ci trasforma in guide ed esempi per le persone. Si diventa un leader. La resposabilità di un leader è riuscire a comunicare le proprie esperienze, creare entusiasmo e indicare la via giusta per permettere alle persone di ottenere gli stessi risultati. L’efficenza di un leader si riconosce dai suoi comportamenti. ecco alcuni atteggiamenti che indipendentemente dal contesto in cui agisce, un buon leader sviluppa e mette in pratica.
“Guidate e ispirate le persone. Non cercate di gestirle e di manipolarle.
I magazzini possono essere gestiti ma le persone vanno guidate”
Henry Ross Perot
Il leader guida un team verso gli obiettivi.
Avere una visione ampia di cosa si vuole. Stabilire di raggiungere una meta attraverso obiettivi realizzabili e realistici, questo è lo scopo di un leader. Saper scegliere le giuste strategie avere la capacità di guidare le persone attraverso le difficoltà e i cambiamenti fanno di un leader la guida di un team.
Il leader crea un ambiente motivante per la sua squadra.
saper scegliere le persone con cui si lavora e si vuole raggiungere un obiettivo è fondamentale. Un ambiente costituito da persone motivate, che hanno gli stessi interessi, crea un clima positivo per raggiungere il successo. Saper comunicare, gestire la gerarchia in un team senza creare equivoci rafforza lo “spirito di squadra” e permette di raggiungere risultati eccezionali.
Il leader infonde dei valori.
Essere un leader significa innanzitutto saper trasmettere la propria filosofia di vita. Un leader è di esempio, sempre e comunque. Una concezione della vita volta al rispetto del prossimo, principi morali che vanno oltre il raggiungimento del successo, sono qualità che fanno di un leader una vera guida per contribuire alla crescita delle persone che lo seguono.
Il Leader motiva il suo gruppo.
La capacità di capire le persone che fanno parte del suo team sapere quali sono le loro debolezze esaltare le loro qualità, permettono al leader di motivare le persone portarle ad eccellere nelle loro prestazioni.
Il leader si confronta.
I problemi sono delle valide opportunità per potersi confrontare con gli altri e ottenere dei feedback positivi, il confronto è un momento di crescita collettiva. Il leader stima il prossimo dà valore al suo giudizio e ottiene in cambio la sua fiducia. Il confronto se ben gestito rafforza la condizione del leader perchè permette di delegare le responsabilità e crea un clima di fiducia e spirito di squadra.
Il leader comunica.
Saper comunicare comprende l’abilità di saper trasmettere tutti questi atteggiamenti descritti. Comunicare nel suo significato più ampio descrive l’abilità di assumere il punto di vista del prossimo, capire le sue emozioni e bisogni per poter dare delle risposte. Comunicare energia, passione, Idee, visione di un futuro da poter costruire e condividere. Ecco la comunicazione efficace che possiede un leader.
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