La cessione del quinto è una particolare tipologia di prestito personale, la cui restituzione avviene con la cessione di una parte dello stipendio o salario, fino al quinto del suo ammontare, valutato al netto delle ritenute.

Il richiedente è libero di utilizzare la somma erogata come meglio crede, in quanto non è finalizzata all’acquisto di un bene o servizio particolare.

Generalmente la durata di questa forma di prestito varia da un minimo di 24 mesi ad un massimo di 120 mesi, e viene rimborsato attraverso una detrazione dalla busta paga o pensione.

Mediante la cessione del quinto sarà il datore di lavoro stesso o l’ente previdenziale di riferimento ad assumersi la responsabilità del rimborso del prestito. Il che potrebbe far insorgere il timore che datore di lavoro e ente pensionistico non vogliano accettare la richiesta di finanziamento, ma non è così, in quanto sono obbligati ad accettarla.

Per richiedere un prestito tramite cessione del quinto non si necessita di particolari garanzie, in quanto l’unica garanzia è il TFR per i dipendenti e la pensione per coloro che la percepiscono. Il Legislatore ha tuttavia previsto l’obbligatorietà della copertura assicurativa a tutela dell’intermediario finanziario nei casi di morte e di perdita del lavoro.

La cessione del quinto è un finanziamento che può essere richiesto anche da chi è iscritto nel registro dei cattivi pagatori : per i cattivi pagatori è, infatti, impossibile accedere alle normali forme credito al consumo.In questo caso la somma erogata potrà essere utilizzata o come liquidità immediata, da utilizzare come meglio si crede o in caso di bisogno, o per andare a consolidare debiti pregressi e insoluti.

Come per ogni forma di prestito, anche per la cessione del quinto è sempre possibile estinguerlo anticipatamente in parte o del tutto, secondo quanto prestabilito dalla Legge. In questo caso il soggetto dovrà versare all’istituto di credito il capitale residuo nonché gli interessi maturati fino a quel momento, maggiorati dell’1% del capitale rimanente a titolo di compenso d’uscita.


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In modo classico si definisce cassettista colui che acquista una certa quantità di uno o più titoli, li paga, li ritira e li pone nel cassetto, e attende che i frutti attesi si maturino e possano così remunerare il capitale investito. Il cassettista compra azioni di aziende solide, con ottimi fondamentali, che distribuiscono buoni dividendi. I frutti, o meglio, gli utili o più in generale il profitto, sono di due categorie:
il dividendo, rappresentato dagli utili che l’azienda realizza e che, in tutto o in parte, distribuisce ai propri soci azionisti;
il capital gain (guadagno di capitale), rappresentato dalla differenza tra il prezzo di acquisto del titolo e quello indicato sul mercato dopo un certo periodo di tempo. Infatti un’azienda, se sana e ben amministrata, oltre che conseguire utili, deve anche crescere di valore.

Questa crescita di valore per il cassettista si traduce appunto in capital gain.
L’utile complessivo per il cassettista è dato quindi dal dividendo e dal capital gain. Da precisare però che, nella pratica corrente, l’obiettivo primario per l’investitore è dato dal capital gain, dato che il dividendo non sempre viene distribuito agli azionisti.

Quindi il cassettista acquista azioni e le detiene per un periodo di tempo lungo o lunghissimo. Ma detenere azioni, restando indifferenti alle oscillazioni del loro prezzo, presenta obiettivamente dei rischi, per i seguenti motivi:
– molto spesso, dopo alcuni anni, tendenzialmente l’azione acquistata rappresenta un’azienda diversa da quella iniziale. E’ un fatto naturale che le aziende debbano adeguarsi ad un mercato in continua evoluzione, seguire le mode, il progresso tecnologico, cambiare i beni e i servizi prodotti se questi diventano obsoleti o non incontrare più il favore del pubblico, ecc.;
– si può essere costretti a liquidare la propria posizione in caso di necessità personali o per un motivo di delisting (uscita di un’azienda dal listino di borsa), ed il risultato della vendita potrebbe essere negativo;
– si può perdere tutto il capitale in caso di fallimento dell’azienda. E’ ovvio che più si allunga il periodo di investimento, maggiori sono le probabilità che un’azienda possa fallire.

Il concetto di cassettista è definito, ma nella realtà quotidiana il successo o l’insuccesso dell’investimento dipendono da molti fattori, tra cui la scelta dei titoli e il momento dell’acquisto (stock piking e timing). Acquistare le azioni giuste nel momento giusto, in modo da diminuire il rischio. E non sempre il cassettista, che di solito è un piccolo risparmiatore, è capace di individuare questi fattori, in quanto non conosce le regole, complesse e a volte non scritte, che governano l’investimento azionario.


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Un piano di investimento viene costruito sulle caratteristiche di ogni persona, non essendo adatto per tutti gli investitori. L’insieme delle caratteristiche di chi investe compongono il “profilo dell’investitore”.

Ci sono tre aspetti che caratterizzano il profilo dell’investitore:
la tolleranza al rischio
gli obiettivi di investimento
l’orizzonte temporale.

La tolleranza al rischio rappresenta la possibilità di sopportare il rischio ed il grado di avversione al rischio stesso. Risulta essere il punto di partenza per scoprire il proprio profilo di investitore. Il rischio è incertezza, è la possibilità che l’investimento non abbia i risultati sperati. Il livello di rischio che si è in grado di sopportare è un elemento di grande importanza, e deve essere considerato prima di fare un qualsiasi investimento.
Gli investitori scelgono il grado di rischiosità dei loro portafogli innanzitutto in base ai propri orizzonti temporali, alla propria ricchezza e all’età. E’ evidente che tanto lungo è l’orizzonte temporale, tanta più elevata è la classe sociale (o la ricchezza) e tanta più bassa è l’età, tanto più alta sarà la percentuale di investimenti rischiosi che si possono fare. In linea di massima, si può dire che la tolleranza al rischio è bassa quando si è in grado di sopportare risultati negativi fino al 5%; è moderata fra il 6 ed il 15%; alta fra il 16 ed il 25%.

Accettare rischi troppo elevati, cioè rischi superiori alle proprie capacità di sopportarli, può portare a risultati negativi. Valutare adeguatamente la propria tolleranza al rischio è necessario per prevenire decisioni soprattutto in momenti di panico, e abbandonare per esempio il proprio piano di investimento nel momento peggiore.

Ai diversi livelli di rischio corrispondono diverse categorie di strumenti finanziari. Adatti ad investitori con bassa tolleranza al rischio sono ad esempio i fondi comuni monetari, i pronti contro termine, i conti di deposito, i certificati di deposito, i titoli di Stato e le obbligazioni di breve periodo. I titoli adatti ad una tolleranza al rischio moderata possono includere portafogli di titoli di Stato e obbligazioni di medio e lungo periodo, e portafogli di azioni di aziende solide che producono utili e che distribuiscono dividendi costanti. Per chi ha una tolleranza al rischio alta sono adatti i fondi comuni azionari e bilanciati, lo obbligazioni societarie e gli investimenti in borsa.


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I requisiti fondamentali ritenuti validi dai promotori e dai consulenti finanziari per consigliare ai risparmiatori un investimento in azioni o fondi comuni azionari, sono due:
– il lungo termine
– alta propensione al rischio.
Ma di recente questo approccio è stato ritenuto incompleto.

Per iniziare, per lungo termine si intende un investimento in azioni per un periodo di almeno 10 anni. Di solito, però, il periodo entro il quale i risparmiatori tendono a valutare il proprio investimento è quello annuale. Il che comporta spesso che il risparmiatore possa interrompere l’investimento stesso entro un anno o poco più, soprattutto quando il prezzo delle sue azioni è inferiore a quello di acquisto, e quindi in perdita.

In secondo luogo, individuare la propensione al rischio di un investitore è abbastanza complicato per un promotore o un consulente finanziario. I risparmiatori, infatti, dichiarano spesso di accettare il rischio influenzati dagli andamenti quotidiani dei mercati se sono positivi. Viceversa, se i mercati sono negativi, la propensione al rischio è molto bassa o negativa. L’accettazione del rischio, dunque, da parte del risparmiatore deve essere continuamente monitorata dal consulente professionalmente preparato, anche a distanza di brevi periodi di tempo, in quanto la propensione al rischio varia nel tempo.

Ma oltre ai due requisiti sopra esposti, ci sono altri fattori da tenere in considerazione.
Il primo fattore da analizzare è quello della ricchezza detenuta da un investitore: tanto essa è maggiore tanto più risulta alta la capacità di prendere rischi e quindi tanto è più disposto ad investire in Borsa.

Un’indagine condotta negli Stati Uniti ha confrontato le ricchezze degli investitori in azioni o in fondi azionari. E’ risultato che, chi ha investito almeno 500 dollari in Borsa ha una ricchezza finanziaria media di 795mila dollari, mentre chi non ha un investimento in azioni conta una ricchezza di 168mila dollari. Dunque, ha investito in Borsa non solo chi ha una più alta tolleranza al rischio, ma anche chi possiede una ricchezza finanziaria superiore di almeno 4 volte.

Se si fa riferimento ai dati statunitensi, in Italia il consulente finanziario dovrebbe valutare se il cliente è idoneo ad un investimento in azioni in base ad una ricchezza posseduta superiore ai 600mila euro, visto che, secondo i dati Banca d’Italia del 2011, la ricchezza media è pari a 132mila euro. Sono numeri fuori dalla norma che in pratica non vengono mai tenuti in considerazione né dai consulenti né dagli investitori.

Un altro fattore da valutare è il grado di sopportazione di perdita annuale, calcolata intorno al 40% (che è la perdita massima storica annuale).

Disponendo di queste informazioni, e se il cliente possiede le caratteristiche di cui sopra, il consulente può quindi proporgli un investimento in azioni.


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Oggi tutti si domandano come investire i risparmi in un momento come quello attuale. Borse che crollano, debito pubblico alle stelle, spread – differenziale tra Bund tedeschi e Btp a dieci anni – che ha raggiunto record impensabili e pericolosi (460 punti), Italia a rischio e osservata speciale sull’attuazione delle misure di risanamento e riforme da parte del Fondo Monetario Internazionale e dall’Europa, pericolo di default della Grecia, tasse che aumentano, inflazione che ha raggiunto il 3,5%. Tutti questi fattori hanno fatto crollare la fiducia, e molte certezze dei piccoli e grandi risparmiatori italiani sono venute meno.

Non è facile dare consigli, soprattutto in questo momento. Tentiamo comunque di fare ordine e di analizzare, in base ai possibili scenari futuri, le possibili soluzioni per investire i risparmi tenendo conto dei rischi e delle opportunità che offre il mercato.
Il problema attuale di fondo è quello della fiducia o meno che abbiamo dell’Italia. Se pensiamo che il nostro Paese non vada in default, cioè che non possa fallire, una grossa opportunità è fornita dai titoli di Stato, soprattutto dai Btp sulle varie scadenze (dai 3 ai 15 anni) che hanno raggiunto rendimenti lordi tra il 5 ed il 6,40%. Per scadenze più brevi sono da preferire i Bot ad un anno (3,60%) ed i Ctz a 2 anni (4,60%).
A questo proposito precisiamo che chi acquista Bot è più tranquillo di chi possiede Btp. I Bot hanno scadenza breve e le oscillazioni dei tassi sono contenute, al contrario dei Btp a lunga scadenza che subiscono pesanti oscillazioni dei prezzi, per cui, in caso di vendita anticipata, esiste il rischio di realizzare delle perdite in conto capitale.

Sono da prendere in considerazione anche i Buoni Fruttiferi Postali “BFPDiciottomesi” e “BFPDiciottomesi Plus”, ma il loro rendimento è inferiore a quello dei Bot. Comunque, in questo momento di forti oscillazioni, dovute anche alla speculazione, i titoli di Stato a breve termine sono da preferire.
Se non stiamo tranquilli con i titoli di Stato e pensiamo che l’Italia sia a forte rischio di default, abbiamo altre possibilità di impiego dei risparmi. Per cui, volendo stare alla largha dai titoli di Stato italiani, greci, spagnoli e portoghesi, si potrebbero comprare titoli pubblici tedeschi, svizzeri, olandesi o finlandesi, ma garantiscono tassi più bassi rispetto all’inflazione e alcuni di questi sono a lunga scadenza. E, in questo momento, ripetiamo, è preferibile essere prudenti e stare sul breve termine, tenendo liquidi gli investimenti almeno per una buona percentuale del proprio portafoglio.

Se non vogliamo investire in titoli di Stato perchè ritenuti “pericolosi”, a maggior raggione dobbiamo evitare le Borse, adatte in questo momento, solo ai trader e ai forti di cuore. Cosa rimane, dunque? Il conto corrente bancario o postale, ma non offrono rendimenti adeguati. Anche i pronti contro termine offrono rendimenti interessanti, ma presentano dei rischi.

Tutti siamo d’accordo sulle scadenze brevi e su investimenti “liquidi”, per cui sono da preferire i conti di deposito che le banche, a corto di liquidità ed in cerca sempre di nuovi clienti, offrono a tassi generosi, con scadenze fino ad 12 mesi, che arrivano anche al 4,5% (ottimo tasso considerando che dal prossimo gennaio la tassazione scenderà dal 27 al 20%) .

Se poi guardiamo con fiducia al futuro, possiamo fare delle scelte (in base all’età ed alla propensione al rischio) anche più lungimiranti e coraggiose sottoscrivendo, per esempio, un pac (piano di accumulo di capitale) in Fondi comuni o in Etf con una percentuale azionaria massima del 50%. E’ chiaro che occorre essere consapevoli che il lungo termine premia questo tipo di investimento in quanto soggetto ad oscillazioni, e la sistematicità e la pazienza saranno premiati dai rendimenti finali.


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