L’esposto è l’atto col quale si richiede l’intervento dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, per fare in modo che provveda alla soluzione di una controversia insorta tra privati.

Per mezzo dell’esposto il cittadino richiede all’autorità giudiziaria di valutare se, nella fattispecie, ricorre un’ipotesi di reato.

Ad esempio l’esposto può essere presentato quando si verificano casi di disturbo alla quiete pubblica causati da rumori molesti o nel caso di litigi tra condomini.

Dove deve essere presentato l’esposto?
L’esposto deve essere presentato presso gli uffici delle forze dell’ordine, quindi presso le Questure, i Commissariati di Pubblica Sicurezza o gli uffici dell’Arma dei Carabinieri.

Cosa accade dopo la richiesta d’intervento dell’Autorità di Pubblica Sicurezza?
A seguito della richiesta d’intervento, l’Ufficiale di Pubblica Sicurezza inviterà le parti in conflitto a recarsi presso i propri uffici per tentare la conciliazione. In tale occasione, qualora venga ritenuto necessario, potrà essere redatto un verbale firmato dalle parti e dall’Ufficiale di Pubblica Sicurezza.

A questo verbale viene attribuito il valore di scrittura privata legalmente riconosciuta, pertanto qualora in un secondo momento venga instaurato un procedimento, può essere prodotto in giudizio.

Cosa accade se dai fatti esposti dalle parti si configura un reato?
Per addivenire alla composizione bonaria della lite occorre, non solo che le parti raggiungano un accordo, ma anche l’assenza di reati perseguibili d’ufficio.

Se dai fatti si configura un reato, l’Ufficiale di Pubblica Sicurezza:

• se si tratta di reato perseguibile d’ufficio (in presenza di reato perseguibile d’ufficio il procedimento penale deve essere iniziato non appena sopraggiunga la notizia di reato) deve informare l’Autorità Giudiziaria;

• se si tratta di delitto perseguibile a querela (in presenza di delitti perseguibili a querela, affinché il procedimento penale abbia inizio occorre che la persona offesa chieda formalmente che il colpevole venga punito) può, a richiesta, tentare di addivenire ad una preventiva definizione della lite, senza che ciò pregiudichi il successivo esercizio del diritto di querela.

Che differenza c’è tra esposto e denuncia?
Sia la denuncia che l’esposto sono atti per mezzo dei quali si inoltra una segnalazione alle forze dell’ordine.

Con la denuncia si segnala al Pubblico Ministero o ad un Ufficiale di Polizia Giudiziaria un reato perseguibile d’ufficio, affinché intervenga per perseguire l’autore del reato; con l’esposto invece si segnala all’Autorità di Pubblica Sicurezza un dissidio tra privati non perseguibile d’ufficio, affinché tenti la conciliazione tra le parti coinvolte.


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La querela consiste in una dichiarazione / manifestazione di volontà espressa dalla persona offesa (sia personalmente che per mezzo del proprio procuratore), con la quale si richiede all’autorità competente di procedere in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato.

La querela rappresenta una condizione per procedere in giudizio, in assenza della quale non sarà possibile instaurare un processo.

Da chi è presentata la querela?
La querela deve essere presentata dalla persona offesa, cioè colui che ha subito il fatto – reato, e può essere presentata direttamente dalla persona offesa oppure a mezzo di un procuratore speciale (normalmente un avvocato a ciò delegato).

A chi deve essere presentata la querela?
La querela deve essere presentata al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria, o ad un Agente Consolare per i reati commessi all’estero.

Eccezionalmente, in caso di flagranza di reato che impone o consente l’arresto, la querela può essere proposta anche in forma orale ad un agente che si trovi nel luogo in cui è stato consumato il reato.

Cosa deve fare l’Autorità che riceve la querela?
L’Autorità che riceve la querela, dopo aver attestato data e luogo di presentazione, procede all’identificazione della persona che ha proposto la querela, ed all’invio degli atti all’ufficio del pubblico ministero per le indagini del caso.

Quali sono i termini entro i quali deve essere esercitato il diritto di querela?
La querela deve essere presentata nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato.

Il termine è di sei mesi quando si tratta di delitti contro la libertà sessuale.

Cosa deve contenere la querela?
Nell’atto di querela deve essere indicato il fatto che costituisce reato, corredato di ogni notizia inerente l’autore, e le fonti di prova.

E’ inoltre molto importante che dalla querela risulti in modo chiaro ed inequivoco la manifestazione della persona offesa affinché si proceda in giudizio e venga punito l’autore.

Forma della querela
La querela può essere presentata

– oralmente, in questo caso verrà redatto un verbale da parte dell’autorità che la riceve;

– per iscritto, in tal caso può essere consegnata brevi mano oppure spedita a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.

La remissione di querela
La remissione di querela consiste in un atto con il quale la persona offesa che abbia già presentato querela provvede a revocarla, cioè a ritirarla.
La remissione di querela è efficace solo se viene accettata dalla parte querelata. Solo in questo modo la remissione determina l’estinzione del reato.

La querela precedentemente proposta può essere sempre ritirata, tranne nel caso di violenza sessuale o atti sessuali con minorenni.

La rinuncia al diritto di proporre querela
La rinuncia al diritto di proporre querela si verifica quando la persona offesa dal reato non presenta querela. La rinuncia può essere:

– espressa: in tal caso viene redatto un atto nel quale la persona offesa dichiara di non voler procedere alla presentazione di querela;

– tacita: in tal caso la rinuncia si verifica per fatti concludenti, cioè per il sol fatto di non aver presentato querela. Infatti, decorso inutilmente il termine fissato dalla legge senza aver presentato querela, automaticamente si determina la perdita del diritto.

L’attestazione della ricezione
Colui che ha presentato la querela, sia orale che scritta, ha diritto di richiedere una ricevuta che attesta l’avvenuta presentazione della querela.


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La legge rinvia all’autonomia collettiva l’individuazione del tetto massimo di contratti part time, contratto su cui è possibile vedere questa guida su Guidelavoro.net, che possono essere stipulati dalle aziende del settore di riferimento (D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 1, co. 3. Dalla lettera della disposizione si evince, infatti, che la legge non prevede un limite percentuale di ricorso al part time rispetto ai rapporti di lavoro a tempo pieno, salvo diversa previsione a livello contrattuale collettivo.

Limiti contrattuali e violazione delle percentuali di ricorso al part time nel settore edile.
Il mancato rispetto dei limiti quantitativi di utilizzo del part time stabiliti dai contratti collettivi può costituire causa ostativa al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva, per inosservanza “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 1, co.1175, L. 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per l’anno 2007; D.M. 24 ottobre 2007).

Con riferimento al settore edile, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con risposta all’Interpello 3 marzo 2011, n. 8, presentato dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), ha ribadito che l’azienda, in caso di superamento dei limiti numerici contrattualmente previsti per il ricorso al part time, è da considerare “irregolare” e non può, pertanto, ottenere il rilascio del DURC

In effetti, il c.c.n.l. edilizia industria 18 giugno 2008, rinnovato il 19 aprile 2010, disciplinando l’istituto del lavoro a tempo parziale, dispone che “fermo restando quanto previsto dalla legge, nelle more dell’adozione dei criteri di congruità da parte delle Casse Edili le parti stabiliscono che un’impresa edile non può assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato” e che “resta ferma la possibilità di impiegare almeno un operaio a tempo parziale, laddove non ecceda il 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell’impresa” (art. 78).

Coerentemente, il Ministero ha affermato che una volta raggiunta l’indicata percentuale del 3% del totale dei lavoratori a tempo indeterminato nell’impresa, o superato il limite pari al 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell’impresa, ogni ulteriore contratto a tempo parziale stipulato deve considerarsi adottato in violazione delle regole contrattuali.


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Le multe sono le sanzioni previste nel caso di violazione del Codice della strada, e come tali in linea di massima sono inappellabili.

Tuttavia, nel caso siate convinti di aver ricevuto una contravvenzione ingiusta, o che questa presenti errori formali, potete tentare di far valere le vostre ragioni appellandovi con un ricorso presso il Prefetto o il Giudice di Pace (o entrambi).

In entrambi i casi non è necessaria l’assistenza di un avvocato.

Ricorso presso il Prefetto.
Se nella contestazione ricevuta ravvisate un vizio formale (es. il verbale di accertamento presenta un errore relativo ai dati anagrafici dell’intestatario o del veicolo, oppure è stato notificato oltre i 90 giorni previsti dalla legge), è meglio rivolgersi al Prefetto.

Il ricorso al Prefetto, deve essere effettuato entro 60 giorni dall’avvenuta notifica presso il comando di polizia municipale oppure direttamente alla Prefettura del capoluogo di provincia dove è avvenuta l’infrazione (v. modulo di ricorso).

La domanda va presentata in carta semplice (senza oneri, a mano o mezzo raccomandata a/r), allegando copia del verbale di accertamento e tutta la documentazione necessaria per sostenere le proprie ragioni (fotografie, atto di vendita del veicolo non più di vostra proprietà, scontrini autostradali o di parcheggio che dimostrano la vostra presenza in luogo diverso rispetto a quello dichiarato sul verbale di notifica, etc…).

E’ anche possibile richiedere esplicitamente di essere ascoltati, al momento della valutazione, al fine di esporre le proprie ragioni.

E’ importante sapere che la semplice presentazione del ricorso non sospende il pagamento della contravvenzione: è quindi necessario richiedere in modo specifico la sospensione del provvedimento fino all’esito del ricorso.
Il Prefetto si limita a valutare il ricorso dal punto di vista della validità formale: se viene riconosciuta la presenza di un errore nella redazione del verbale, il ricorso viene accolto, invalidando pertanto la contravvenzione.

Se il ricorso viene respinto, il Prefetto entro 120 giorni emette un’ordinanza di pagamento (che deve essere notificata entro 150 giorni, pena la sua invalidità), che è almeno il doppio della multa contestata. Contro tale ordinanza è possibile presentare (entro 30 giorni dalla notifica) ulteriore ricorso presso il giudice di pace.

Il ricorso è da ritenersi accolto se non è stata adottata nessuna ordinanza entro 210 giorni (se presentato al prefetto) o 180 giorni (se presentato presso la polizia municipale).

Ricorso presso il Giudice di Pace.
Parlando di costi, appellarsi al Giudice di Pace costa 37 euro (tale onere è stato introdotto a partire dal 1 gennaio 2010 al fine di disincentivare i ricorsi, dal momento che questa era la via più perseguita, anche per multe di lieve entità). Oltre a questo costo, si deve tener conto anche della perdita di tempo e delle eventuali spese di viaggio (se l’ufficio presso cui si è fatto ricorso è in altra città), dato che è necessario essere presenti all’udienza.

A differenza del Prefetto, il Giudice di Pace può ridurre l’importo della multa, ed eseguire una valutazione del merito della contravvenzione, e non solo il vizio formale.

Il ricorso deve essere effettuato presso l’ufficio del Giudice di Pace competente territorialmente, in relazione al luogo in cui è stata commessa la violazione contestata. La domanda va presentata entro 60 giorni dalla notifica del verbale, a mano o per posta, allegando copia del verbale e tutta la documentazione ritenuta utile.

Se il Giudice di Pace rigetta il ricorso, la sentenza è ulteriormente appellabile in tribunale, ma a questo punto sarà indispensabile rivolgersi ad un avvocato.


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L’acquisto di una casa è certamente una delle decisioni più importanti che si possono prendere nel corso della vita, ma lo è ancora di più se per farlo è necessario chiedere un Mutuo per acquisto casa.

Chiedere un mutuo ipotecario significa contrarre un impegno economico che condizionerà i prossimi 15-20-30 anni, ed in quanto tale andrebbe affrontato in modo informato e consapevole al fine di poter scegliere il mutuo migliore.

Il mutuo ipotecario oggi è uno strumento che può contribuire al miglioramento della qualità di vita, ma deve essere proporzionato ad un importo (rata) sostenibile, rispetto alle effettive entrate familiari, in modo continuativo nel tempo.

Al giorno d’oggi è in costante aumento il ricorso a strumenti di credito o prestiti, non solo per l’acquisto di immobili, ma anche auto, elettrodomestici, mobili, e perfino beni o servizi voluttuari.

Il rischio di questa familiarità con l’indebitamento, sta nel sottovalutare le conseguenze di una scelta affrettata.

Oltre a preoccuparsi di raccogliere proposte dalle varie banche e confrontare le diverse proposte di mutuo, è quindi necessario essere pienamente consapevoli che l’accumularsi di rateazioni non adeguatamente ponderate può causare difficoltà o, in alcuni casi, veri e propri dissesti finanziari (non ultimo la perdita dell’immobile).

Negli ultimi anni è certamente migliorata l’informazione disponibile, tuttavia nulla può sostituire il buon senso e la prudenza: a volte è più saggio rinunciare, limitare o rinviare l’ acquisto.


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